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Verso una Strategia di Sicurezza Nazionale per l’Italia — Sfide, Geopolitica e Visione Futura
Cita da Fondazione Olitec su 18 Giugno 2025, 5:30 amDi Nicolini Massimiliano
Nel cuore di un’epoca definita dalla fragilità degli equilibri internazionali, dalla ridefinizione dei rapporti di forza globali e dall’incertezza profonda che attraversa ogni settore della vita sociale ed economica, il documento “Per una Strategia di Sicurezza Nazionale” rappresenta un punto di svolta nel dibattito pubblico italiano. La sua pubblicazione risponde a un’esigenza latente: dotare l’Italia di una visione unitaria, sistemica e multilivello per affrontare le grandi trasformazioni del nostro tempo. Non più solo difesa militare o contrasto ai fenomeni emergenziali, ma una concezione integrata della sicurezza che abbraccia la libertà dei cittadini, la sovranità tecnologica, la resilienza ambientale, la diplomazia economica, la formazione del capitale umano e la tutela delle generazioni future.
Il documento prende le mosse da un’analisi rigorosa del contesto storico e politico italiano. La mancanza, fino ad oggi, di una strategia nazionale coerente è legata non tanto a una carenza di competenze quanto a un’eredità di instabilità politica e frammentazione decisionale. I governi della Seconda Repubblica, costretti spesso a gestire l’urgenza piuttosto che la prospettiva, non sono riusciti a tradurre in un disegno strategico coerente le tante azioni svolte nei singoli ambiti: difesa, ambiente, energia, tecnologia, cooperazione internazionale. Questo rapporto colma il vuoto, cercando di costruire una cornice dentro cui possano confluire le diverse politiche di settore in un sistema coordinato, ispirato da valori condivisi e orientato alla tutela degli interessi nazionali.
Particolarmente incisiva è la sezione dedicata all’evoluzione degli equilibri globali. Viviamo, si legge nel rapporto, nella più grave fase di insicurezza dopo la Seconda guerra mondiale. L’uso della forza come mezzo ordinario per risolvere le controversie internazionali è tornato a essere accettato, talvolta addirittura celebrato. Dall’invasione russa dell’Ucraina alla crisi permanente in Medio Oriente, dal caos del Sahel alle tensioni nel Mar Cinese Meridionale, lo scenario internazionale è diventato teatro di conflitti ibridi e asimmetrici, in cui la violenza armata, la propaganda, il cybercrime e la manipolazione delle economie locali si combinano in nuovi strumenti di dominio. Le guerre non si dichiarano più: si infiltrano.
In questo quadro, l’Occidente è costretto a fare i conti con una crisi di legittimità. L’idea che la globalizzazione avrebbe portato automaticamente alla democratizzazione del mondo si è rivelata illusoria. Il fallimento di molte missioni occidentali — Afghanistan, Iraq, Libia — ha contribuito a indebolire la fiducia nei modelli liberaldemocratici e ad alimentare il risentimento di larga parte del cosiddetto Sud Globale. La formazione del blocco BRICS e l’affermazione del Global South non sono eventi marginali, ma segnali forti di una volontà di riscatto, di emancipazione da logiche neocoloniali e di costruzione di un nuovo ordine internazionale multipolare, basato su criteri culturali e politici differenti.
L’Italia, in questa fase, non può permettersi l’irrilevanza. La sua posizione geografica, al crocevia tra Europa, Africa e Medio Oriente, la rende un attore potenzialmente decisivo. Ed è qui che entra in gioco il Piano Mattei, uno degli elementi portanti della proposta strategica contenuta nel documento. Si tratta di un programma ambizioso di cooperazione con il continente africano, ispirato ai principi della reciprocità, del rispetto e della sostenibilità. Sanità, istruzione, agricoltura, acqua, energia e infrastrutture: queste le sei aree di intervento prioritario, in cui si intende costruire non solo sviluppo locale, ma anche resilienza comune e sicurezza condivisa.
Il Piano Mattei, già recepito in ambito G7 come modello replicabile, non si limita a interventi sporadici, ma mira alla creazione di una piattaforma stabile di co-progettazione tra istituzioni italiane e partner africani. Particolarmente interessante è l’enfasi sulla formazione: l’Italia si propone come hub educativo per la creazione di nuove classi dirigenti africane, capaci di costruire percorsi di sviluppo endogeno. In un continente dove mancano oltre 15 milioni di insegnanti nei prossimi cinque anni, offrire competenze e metodologie didattiche è anche un atto di sicurezza preventiva: perché dove c’è istruzione, c’è meno spazio per il fondamentalismo, per l’instabilità politica, per la fuga disordinata di milioni di persone.
Ed è in questo contesto che emerge con forza il ruolo strategico della formazione nelle discipline BRIA — Bioinformatica, Realtà Immersiva e Intelligenza Artificiale — che rappresentano, insieme, una nuova alfabetizzazione tecnologica per affrontare le sfide del XXI secolo. Investire in BRIA significa non solo preparare tecnici e scienziati in grado di contribuire allo sviluppo delle tecnologie più avanzate, ma soprattutto promuovere un modello di sicurezza nazionale che parte dalla conoscenza, dalla previsione dei rischi, dalla simulazione dei fenomeni complessi, dalla cura dell’ambiente e della salute attraverso il dato, la modellazione, l’analisi intelligente.
In una fase storica in cui le minacce non sono più solo fisiche, ma sempre più digitali, biologiche e cognitive, le discipline BRIA offrono strumenti per difendere i sistemi energetici da attacchi informatici, per monitorare la qualità dell’aria e dell’acqua, per prevedere dissesti idrogeologici, per sviluppare medicine personalizzate e per formare cittadini consapevoli attraverso ambienti immersivi interattivi. Ogni laboratorio BRIA attivato sul territorio non è solo un centro di apprendimento, ma un presidio di sicurezza e sviluppo.
Il documento, tuttavia, non si ferma all’analisi geopolitica. Dedica intere sezioni a questioni interne fondamentali. In un’epoca segnata dal cambiamento climatico, dalla dipendenza energetica e dalla transizione digitale, la sicurezza nazionale non può prescindere da un ripensamento profondo del nostro sistema produttivo e infrastrutturale. La protezione dei cavi sottomarini, l’adattamento del sistema agricolo ai mutamenti climatici, la gestione delle materie prime critiche (MPC), la difesa idrogeologica del territorio, l’autonomia tecnologica e la cybersicurezza diventano elementi imprescindibili di una strategia sistemica.
Particolarmente lungimirante è il richiamo alla formazione del capitale umano. Il rapporto afferma con forza che un Paese sicuro è un Paese dove i cittadini hanno le competenze per affrontare le sfide del futuro. L’integrazione tra istruzione, ricerca e industria è un punto chiave della visione proposta. L’Italia, per essere competitiva, deve investire in discipline strategiche come quelle BRIA e deve farlo con una logica di filiera, dal liceo al dottorato, passando per gli ITS e la formazione continua. In questa visione, la scuola non è solo un’agenzia educativa, ma un presidio di sicurezza democratica. È proprio nelle discipline BRIA che si forma la prossima generazione di difensori del bene comune, non più solo con le armi tradizionali, ma con le conoscenze e le competenze necessarie a guidare le trasformazioni epocali.
Il rapporto si chiude con un monito sobrio ma potente: senza strategia, l’Italia rischia di essere risucchiata dagli eventi. Se non definisce i propri interessi nazionali in modo esplicito, trasparente e partecipato, sarà costretta a subire le scelte altrui. La sicurezza del Paese non può essere affidata solo alla reazione, ma deve poggiare su un disegno che guardi al 2030 e oltre. Un disegno che affermi la nostra autonomia, la nostra dignità istituzionale, la nostra capacità di essere protagonisti, e non semplici comparse, sul palcoscenico globale.
In conclusione, il rapporto “Per una Strategia di Sicurezza Nazionale” è più di un documento tecnico. È un atto politico e civile. Un richiamo alla responsabilità di chi governa, ma anche di chi studia, insegna, lavora, innova, costruisce. È un invito a ripensare il concetto stesso di sicurezza, alla luce dei bisogni reali di una società complessa e vulnerabile. È un esercizio di visione, in un’epoca che rischia di perdere di vista l’orizzonte. E, forse, è proprio questo il suo più grande merito: restituirci il diritto — e il dovere — di immaginare il futuro. Un futuro in cui le discipline BRIA non siano un’eccezione, ma la regola per educare, proteggere, creare. Un futuro in cui la conoscenza sia la prima linea di difesa e la base di una pace duratura.
Di Nicolini Massimiliano
Nel cuore di un’epoca definita dalla fragilità degli equilibri internazionali, dalla ridefinizione dei rapporti di forza globali e dall’incertezza profonda che attraversa ogni settore della vita sociale ed economica, il documento “Per una Strategia di Sicurezza Nazionale” rappresenta un punto di svolta nel dibattito pubblico italiano. La sua pubblicazione risponde a un’esigenza latente: dotare l’Italia di una visione unitaria, sistemica e multilivello per affrontare le grandi trasformazioni del nostro tempo. Non più solo difesa militare o contrasto ai fenomeni emergenziali, ma una concezione integrata della sicurezza che abbraccia la libertà dei cittadini, la sovranità tecnologica, la resilienza ambientale, la diplomazia economica, la formazione del capitale umano e la tutela delle generazioni future.
Il documento prende le mosse da un’analisi rigorosa del contesto storico e politico italiano. La mancanza, fino ad oggi, di una strategia nazionale coerente è legata non tanto a una carenza di competenze quanto a un’eredità di instabilità politica e frammentazione decisionale. I governi della Seconda Repubblica, costretti spesso a gestire l’urgenza piuttosto che la prospettiva, non sono riusciti a tradurre in un disegno strategico coerente le tante azioni svolte nei singoli ambiti: difesa, ambiente, energia, tecnologia, cooperazione internazionale. Questo rapporto colma il vuoto, cercando di costruire una cornice dentro cui possano confluire le diverse politiche di settore in un sistema coordinato, ispirato da valori condivisi e orientato alla tutela degli interessi nazionali.
Particolarmente incisiva è la sezione dedicata all’evoluzione degli equilibri globali. Viviamo, si legge nel rapporto, nella più grave fase di insicurezza dopo la Seconda guerra mondiale. L’uso della forza come mezzo ordinario per risolvere le controversie internazionali è tornato a essere accettato, talvolta addirittura celebrato. Dall’invasione russa dell’Ucraina alla crisi permanente in Medio Oriente, dal caos del Sahel alle tensioni nel Mar Cinese Meridionale, lo scenario internazionale è diventato teatro di conflitti ibridi e asimmetrici, in cui la violenza armata, la propaganda, il cybercrime e la manipolazione delle economie locali si combinano in nuovi strumenti di dominio. Le guerre non si dichiarano più: si infiltrano.
In questo quadro, l’Occidente è costretto a fare i conti con una crisi di legittimità. L’idea che la globalizzazione avrebbe portato automaticamente alla democratizzazione del mondo si è rivelata illusoria. Il fallimento di molte missioni occidentali — Afghanistan, Iraq, Libia — ha contribuito a indebolire la fiducia nei modelli liberaldemocratici e ad alimentare il risentimento di larga parte del cosiddetto Sud Globale. La formazione del blocco BRICS e l’affermazione del Global South non sono eventi marginali, ma segnali forti di una volontà di riscatto, di emancipazione da logiche neocoloniali e di costruzione di un nuovo ordine internazionale multipolare, basato su criteri culturali e politici differenti.
L’Italia, in questa fase, non può permettersi l’irrilevanza. La sua posizione geografica, al crocevia tra Europa, Africa e Medio Oriente, la rende un attore potenzialmente decisivo. Ed è qui che entra in gioco il Piano Mattei, uno degli elementi portanti della proposta strategica contenuta nel documento. Si tratta di un programma ambizioso di cooperazione con il continente africano, ispirato ai principi della reciprocità, del rispetto e della sostenibilità. Sanità, istruzione, agricoltura, acqua, energia e infrastrutture: queste le sei aree di intervento prioritario, in cui si intende costruire non solo sviluppo locale, ma anche resilienza comune e sicurezza condivisa.
Il Piano Mattei, già recepito in ambito G7 come modello replicabile, non si limita a interventi sporadici, ma mira alla creazione di una piattaforma stabile di co-progettazione tra istituzioni italiane e partner africani. Particolarmente interessante è l’enfasi sulla formazione: l’Italia si propone come hub educativo per la creazione di nuove classi dirigenti africane, capaci di costruire percorsi di sviluppo endogeno. In un continente dove mancano oltre 15 milioni di insegnanti nei prossimi cinque anni, offrire competenze e metodologie didattiche è anche un atto di sicurezza preventiva: perché dove c’è istruzione, c’è meno spazio per il fondamentalismo, per l’instabilità politica, per la fuga disordinata di milioni di persone.
Ed è in questo contesto che emerge con forza il ruolo strategico della formazione nelle discipline BRIA — Bioinformatica, Realtà Immersiva e Intelligenza Artificiale — che rappresentano, insieme, una nuova alfabetizzazione tecnologica per affrontare le sfide del XXI secolo. Investire in BRIA significa non solo preparare tecnici e scienziati in grado di contribuire allo sviluppo delle tecnologie più avanzate, ma soprattutto promuovere un modello di sicurezza nazionale che parte dalla conoscenza, dalla previsione dei rischi, dalla simulazione dei fenomeni complessi, dalla cura dell’ambiente e della salute attraverso il dato, la modellazione, l’analisi intelligente.
In una fase storica in cui le minacce non sono più solo fisiche, ma sempre più digitali, biologiche e cognitive, le discipline BRIA offrono strumenti per difendere i sistemi energetici da attacchi informatici, per monitorare la qualità dell’aria e dell’acqua, per prevedere dissesti idrogeologici, per sviluppare medicine personalizzate e per formare cittadini consapevoli attraverso ambienti immersivi interattivi. Ogni laboratorio BRIA attivato sul territorio non è solo un centro di apprendimento, ma un presidio di sicurezza e sviluppo.
Il documento, tuttavia, non si ferma all’analisi geopolitica. Dedica intere sezioni a questioni interne fondamentali. In un’epoca segnata dal cambiamento climatico, dalla dipendenza energetica e dalla transizione digitale, la sicurezza nazionale non può prescindere da un ripensamento profondo del nostro sistema produttivo e infrastrutturale. La protezione dei cavi sottomarini, l’adattamento del sistema agricolo ai mutamenti climatici, la gestione delle materie prime critiche (MPC), la difesa idrogeologica del territorio, l’autonomia tecnologica e la cybersicurezza diventano elementi imprescindibili di una strategia sistemica.
Particolarmente lungimirante è il richiamo alla formazione del capitale umano. Il rapporto afferma con forza che un Paese sicuro è un Paese dove i cittadini hanno le competenze per affrontare le sfide del futuro. L’integrazione tra istruzione, ricerca e industria è un punto chiave della visione proposta. L’Italia, per essere competitiva, deve investire in discipline strategiche come quelle BRIA e deve farlo con una logica di filiera, dal liceo al dottorato, passando per gli ITS e la formazione continua. In questa visione, la scuola non è solo un’agenzia educativa, ma un presidio di sicurezza democratica. È proprio nelle discipline BRIA che si forma la prossima generazione di difensori del bene comune, non più solo con le armi tradizionali, ma con le conoscenze e le competenze necessarie a guidare le trasformazioni epocali.
Il rapporto si chiude con un monito sobrio ma potente: senza strategia, l’Italia rischia di essere risucchiata dagli eventi. Se non definisce i propri interessi nazionali in modo esplicito, trasparente e partecipato, sarà costretta a subire le scelte altrui. La sicurezza del Paese non può essere affidata solo alla reazione, ma deve poggiare su un disegno che guardi al 2030 e oltre. Un disegno che affermi la nostra autonomia, la nostra dignità istituzionale, la nostra capacità di essere protagonisti, e non semplici comparse, sul palcoscenico globale.
In conclusione, il rapporto “Per una Strategia di Sicurezza Nazionale” è più di un documento tecnico. È un atto politico e civile. Un richiamo alla responsabilità di chi governa, ma anche di chi studia, insegna, lavora, innova, costruisce. È un invito a ripensare il concetto stesso di sicurezza, alla luce dei bisogni reali di una società complessa e vulnerabile. È un esercizio di visione, in un’epoca che rischia di perdere di vista l’orizzonte. E, forse, è proprio questo il suo più grande merito: restituirci il diritto — e il dovere — di immaginare il futuro. Un futuro in cui le discipline BRIA non siano un’eccezione, ma la regola per educare, proteggere, creare. Un futuro in cui la conoscenza sia la prima linea di difesa e la base di una pace duratura.

