Forum

Benvenuti nel Forum della Fondazione Olitec. Questo spazio è stato creato per promuovere la trasparenza e facilitare la comunicazione tra la Fondazione Olitec e tutti coloro che desiderano entrare a far parte del nostro team, in particolare per il ruolo di Sales. Il nostro forum è uno strumento di dialogo aperto e costruttivo dove i candidati possono porre domande, condividere esperienze e ottenere risposte dirette sui vari aspetti del processo di selezione e sulle opportunità di carriera offerte dalla Fondazione.

All’interno del forum troverete topic dedicati ad argomenti specifici su cui potrete approfondire informazioni relative al ruolo, al processo di selezione e alla cultura aziendale della Fondazione Olitec. Inoltre, avrete la possibilità di caricare le vostre domande e consultare le risposte fornite ad altri quesiti posti dai candidati, creando così una rete di informazioni condivisa e trasparente.

Questo spazio è pensato anche per favorire la condivisione delle esperienze personali: potrete raccontare il vostro percorso e scoprire come altri candidati stanno affrontando questa opportunità. Vi invitiamo a partecipare attivamente, a rispettare gli altri membri della community e a mantenere un tono di dialogo collaborativo e positivo.

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Tra Fides ed Ethos

di Sara Di Paola

Abitare l’etica nella sanità che cambia

L’innovazione digitale in sanità è il mio ambito quotidiano. Ma più che la tecnologia in sé, mi invita a ragionare su ciò che le sta intorno: la cultura che la rende possibile, accettabile, umana. Cultura organizzativa, relazionale, persino emotiva. E al centro di tutto, una parola torna costantemente: fiducia. Non è un concetto nuovo, eppure assume oggi forme inattese. Perché fidarsi non significa più soltanto aAidarsi a un medico, a un’équipe, a una struttura. Significa sempre più spesso collaborare con un’intelligenza che sente e risponde in modo altro rispetto a noi. 

Una presenza che non prova emozioni, ma elabora dati; che non ascolta, ma rileva; che non guarda, ma riconosce. Ed è in questo spazio nuovo, in bilico tra umano e artificiale, ancora in costruzione, che si gioca buona parte del futuro della sanità. “Fides” — dal latino “credere”, “avere fede” — è una delle parole più antiche che legano l’essere umano al suo bisogno più profondo: affidarsi. In ogni relazione di cura, fidarsi significa consegnare una parte di sé all’altro, senza garanzie assolute, ma nella speranza di essere accolti. 

Oggi, però, quell'altro" non ha sempre un volto umano. Nelle corsie, negli ambulatori, nei centri di diagnosi e nei software che popolano i nostri ecosistemi digitali, la fiducia si sta ridisegnando. È ancora una relazione, ma ha cambiato grammatica. E noi siamo chiamati a imparare un nuovo lessico. 

Nel mio ambito professionale, dove la trasformazione digitale della sanità è quotidiana e tangibile, vedo questa sfida emergere ovunque. I professionisti si confrontano con intelligenze artificiali sempre più complesse, i referti vengono supportati da sistemi predittivi che aiutano nell’analisi dei dati clinici, e l’intero ecosistema sanitario si riorganizza attorno a modelli, automatismi e nuove logiche decisionali. 

Ma riusciamo davvero ad affidarci a ciò che non comprendiamo? Posso realmente fidarmi di un algoritmo il cui processo decisionale resta inaccessibile? Mi fido dei dati che lo alimentano, delle intenzioni di chi lo ha progettato, della cultura che ne guida l’uso? In sanità, la fiducia non è una questione di efficienza. È una condizione etica. E quando le decisioni cliniche passano (anche) per una macchina, il rischio è che la fiducia si trasformi in delega passiva. Perché accettiamo l’opacità dell’algoritmo, se promette velocità? Perché cediamo all’automazione, se ci solleva dalla fatica del dubbio? Eppure, fidarsi di una tecnologia non significa abdicare al pensiero critico. Al contrario, implica una responsabilità maggiore: quella di pretendere trasparenza, di interrogare le logiche che muovono le macchine, di chiedere a chi progetta di assumersi l’onere etico della chiarezza. 

La fiducia è un patto: e ogni patto implica reciprocità. Etica, del resto, deriva dal greco ethos: non soltanto “costume” o “morale”, ma dimora, luogo dell’abitare. Parlare di etica significa allora riflettere su come viviamo insieme gli spazi — fisici, relazionali, digitali — e su quali valori li attraversano. 

Profilo di un robot umanoide con dettagli tecnologici, in un ambiente sanitario moderno, mentre uno scienziato in camice scruta dati su uno schermo.

L’etica è ciò che conferisce senso e orientamento a questo “abitare condiviso”, anche quando l’altro con cui ci relazioniamo non è più soltanto umano, ma anche tecnologico. In questo senso, le tecnologie BRIA non sono semplici strumenti: sono nuove presenze che entrano nei nostri luoghi della cura, la cui questione non è solo tecnica, ma profondamente etica: che tipo di spazio stiamo costruendo con queste tecnologie? È un ambiente che possiamo abitare con fiducia, comprensione e dignità? La vera sfida è far sì che anche la sanità digitale diventi un luogo ospitale, dove il senso della cura non venga disperso, ma rilanciato. In questi scenari, la fiducia non è una semplice adesione allo strumento, ma un patto complesso tra progettisti, operatori e cittadini. 

Un algoritmo predittivo può avere altissima accuratezza, ma se il cittadino non comprende il processo, o il medico non riesce a tradurlo in un dialogo empatico, il rischio è di svuotare la relazione di senso. Così, anche la tecnologia più avanzata rischia di diventare muta, se non sappiamo darle voce in modo umano. In questo intreccio di responsabilità e interpretazioni, la fiducia diventa una tessitura collettiva. Credo che oggi più che mai, la fiducia debba essere progettata con cura. Deve essere spiegabile, inclusiva, condivisa. Non può nascere da una semplice adozione tecnologica: ha bisogno di trasparenza, ascolto, dialogo tra umanesimo e ingegneria. Serve un design della fiducia. Ma c’è qualcosa di più profondo. Fidarsi — anche in sanità — significa accogliere la vulnerabilità. 

Un gruppo di medici in camice bianco discute in un ambiente sanitario moderno con schermi digitali e dati clinici sullo sfondo.

È un atto umano, non replicabile, e proprio per questo così prezioso. Nessuna macchina, per quanto precisa, potrà mai restituire la sensazione di essere ascoltati. Nessun algoritmo saprà riconoscere la pausa di un silenzio carico di paura. Nessuna realtà immersiva potrà sostituire lo sguardo gentile di chi ci accompagna nella fragilità. Nella medicina aumentata che ci aspetta — e in parte ci abita già — la fiducia sarà il vero campo di prova.