Benvenuti nel Forum della Fondazione Olitec. Questo spazio è stato creato per promuovere la trasparenza e facilitare la comunicazione tra la Fondazione Olitec e tutti coloro che desiderano entrare a far parte del nostro team, in particolare per il ruolo di Sales. Il nostro forum è uno strumento di dialogo aperto e costruttivo dove i candidati possono porre domande, condividere esperienze e ottenere risposte dirette sui vari aspetti del processo di selezione e sulle opportunità di carriera offerte dalla Fondazione.
All’interno del forum troverete topic dedicati ad argomenti specifici su cui potrete approfondire informazioni relative al ruolo, al processo di selezione e alla cultura aziendale della Fondazione Olitec. Inoltre, avrete la possibilità di caricare le vostre domande e consultare le risposte fornite ad altri quesiti posti dai candidati, creando così una rete di informazioni condivisa e trasparente.
Questo spazio è pensato anche per favorire la condivisione delle esperienze personali: potrete raccontare il vostro percorso e scoprire come altri candidati stanno affrontando questa opportunità. Vi invitiamo a partecipare attivamente, a rispettare gli altri membri della community e a mantenere un tono di dialogo collaborativo e positivo.
L’innovazione digitale in sanità è il mio ambito quotidiano. Ma più che la tecnologia in sé, mi invita a ragionare su ciò che le sta intorno: la cultura che la rende possibile, accettabile, umana. Cultura organizzativa, relazionale, persino emotiva. E al centro di tutto, una parola torna costantemente: fiducia. Non è un concetto nuovo, eppure assume oggi forme inattese. Perché fidarsi non significa più soltanto aAidarsi a un medico, a un’équipe, a una struttura. Significa sempre più spesso collaborare con un’intelligenza che sente e risponde in modo altro rispetto a noi.
Una presenza che non prova emozioni, ma elabora dati; che non ascolta, ma rileva; che non guarda, ma riconosce. Ed è in questo spazio nuovo, in bilico tra umano e artificiale, ancora in costruzione, che si gioca buona parte del futuro della sanità. “Fides” — dal latino “credere”, “avere fede” — è una delle parole più antiche che legano l’essere umano al suo bisogno più profondo: affidarsi. In ogni relazione di cura, fidarsi significa consegnare una parte di sé all’altro, senza garanzie assolute, ma nella speranza di essere accolti.
Oggi, però, quell'altro" non ha sempre un volto umano. Nelle corsie, negli ambulatori, nei centri di diagnosi e nei software che popolano i nostri ecosistemi digitali, la fiducia si sta ridisegnando. È ancora una relazione, ma ha cambiato grammatica. E noi siamo chiamati a imparare un nuovo lessico.
Nel mio ambito professionale, dove la trasformazione digitale della sanità è quotidiana e tangibile, vedo questa sfida emergere ovunque. I professionisti si confrontano con intelligenze artificiali sempre più complesse, i referti vengono supportati da sistemi predittivi che aiutano nell’analisi dei dati clinici, e l’intero ecosistema sanitario si riorganizza attorno a modelli, automatismi e nuove logiche decisionali.
Ma riusciamo davvero ad affidarci a ciò che non comprendiamo? Posso realmente fidarmi di un algoritmo il cui processo decisionale resta inaccessibile? Mi fido dei dati che lo alimentano, delle intenzioni di chi lo ha progettato, della cultura che ne guida l’uso? In sanità, la fiducia non è una questione di efficienza. È una condizione etica. E quando le decisioni cliniche passano (anche) per una macchina, il rischio è che la fiducia si trasformi in delega passiva. Perché accettiamo l’opacità dell’algoritmo, se promette velocità? Perché cediamo all’automazione, se ci solleva dalla fatica del dubbio? Eppure, fidarsi di una tecnologia non significa abdicare al pensiero critico. Al contrario, implica una responsabilità maggiore: quella di pretendere trasparenza, di interrogare le logiche che muovono le macchine, di chiedere a chi progetta di assumersi l’onere etico della chiarezza.
La fiducia è un patto: e ogni patto implica reciprocità. Etica, del resto, deriva dal greco ethos: non soltanto “costume” o “morale”, ma dimora, luogo dell’abitare. Parlare di etica significa allora riflettere su come viviamo insieme gli spazi — fisici, relazionali, digitali — e su quali valori li attraversano.
L’etica è ciò che conferisce senso e orientamento a questo “abitare condiviso”, anche quando l’altro con cui ci relazioniamo non è più soltanto umano, ma anche tecnologico. In questo senso, le tecnologie BRIA non sono semplici strumenti: sono nuove presenze che entrano nei nostri luoghi della cura, la cui questione non è solo tecnica, ma profondamente etica: che tipo di spazio stiamo costruendo con queste tecnologie? È un ambiente che possiamo abitare con fiducia, comprensione e dignità? La vera sfida è far sì che anche la sanità digitale diventi un luogo ospitale, dove il senso della cura non venga disperso, ma rilanciato. In questi scenari, la fiducia non è una semplice adesione allo strumento, ma un patto complesso tra progettisti, operatori e cittadini.
Un algoritmo predittivo può avere altissima accuratezza, ma se il cittadino non comprende il processo, o il medico non riesce a tradurlo in un dialogo empatico, il rischio è di svuotare la relazione di senso. Così, anche la tecnologia più avanzata rischia di diventare muta, se non sappiamo darle voce in modo umano. In questo intreccio di responsabilità e interpretazioni, la fiducia diventa una tessitura collettiva. Credo che oggi più che mai, la fiducia debba essere progettata con cura. Deve essere spiegabile, inclusiva, condivisa. Non può nascere da una semplice adozione tecnologica: ha bisogno di trasparenza, ascolto, dialogo tra umanesimo e ingegneria. Serve un design della fiducia. Ma c’è qualcosa di più profondo. Fidarsi — anche in sanità — significa accogliere la vulnerabilità.
È un atto umano, non replicabile, e proprio per questo così prezioso. Nessuna macchina, per quanto precisa, potrà mai restituire la sensazione di essere ascoltati. Nessun algoritmo saprà riconoscere la pausa di un silenzio carico di paura. Nessuna realtà immersiva potrà sostituire lo sguardo gentile di chi ci accompagna nella fragilità. Nella medicina aumentata che ci aspetta — e in parte ci abita già — la fiducia sarà il vero campo di prova.
di Sara Di Paola
Abitare l’etica nella sanità che cambia
L’innovazione digitale in sanità è il mio ambito quotidiano. Ma più che la tecnologia in sé, mi invita a ragionare su ciò che le sta intorno: la cultura che la rende possibile, accettabile, umana. Cultura organizzativa, relazionale, persino emotiva. E al centro di tutto, una parola torna costantemente: fiducia. Non è un concetto nuovo, eppure assume oggi forme inattese. Perché fidarsi non significa più soltanto aAidarsi a un medico, a un’équipe, a una struttura. Significa sempre più spesso collaborare con un’intelligenza che sente e risponde in modo altro rispetto a noi.
Una presenza che non prova emozioni, ma elabora dati; che non ascolta, ma rileva; che non guarda, ma riconosce. Ed è in questo spazio nuovo, in bilico tra umano e artificiale, ancora in costruzione, che si gioca buona parte del futuro della sanità. “Fides” — dal latino “credere”, “avere fede” — è una delle parole più antiche che legano l’essere umano al suo bisogno più profondo: affidarsi. In ogni relazione di cura, fidarsi significa consegnare una parte di sé all’altro, senza garanzie assolute, ma nella speranza di essere accolti.
Oggi, però, quell'altro" non ha sempre un volto umano. Nelle corsie, negli ambulatori, nei centri di diagnosi e nei software che popolano i nostri ecosistemi digitali, la fiducia si sta ridisegnando. È ancora una relazione, ma ha cambiato grammatica. E noi siamo chiamati a imparare un nuovo lessico.
Nel mio ambito professionale, dove la trasformazione digitale della sanità è quotidiana e tangibile, vedo questa sfida emergere ovunque. I professionisti si confrontano con intelligenze artificiali sempre più complesse, i referti vengono supportati da sistemi predittivi che aiutano nell’analisi dei dati clinici, e l’intero ecosistema sanitario si riorganizza attorno a modelli, automatismi e nuove logiche decisionali.
Ma riusciamo davvero ad affidarci a ciò che non comprendiamo? Posso realmente fidarmi di un algoritmo il cui processo decisionale resta inaccessibile? Mi fido dei dati che lo alimentano, delle intenzioni di chi lo ha progettato, della cultura che ne guida l’uso? In sanità, la fiducia non è una questione di efficienza. È una condizione etica. E quando le decisioni cliniche passano (anche) per una macchina, il rischio è che la fiducia si trasformi in delega passiva. Perché accettiamo l’opacità dell’algoritmo, se promette velocità? Perché cediamo all’automazione, se ci solleva dalla fatica del dubbio? Eppure, fidarsi di una tecnologia non significa abdicare al pensiero critico. Al contrario, implica una responsabilità maggiore: quella di pretendere trasparenza, di interrogare le logiche che muovono le macchine, di chiedere a chi progetta di assumersi l’onere etico della chiarezza.
La fiducia è un patto: e ogni patto implica reciprocità. Etica, del resto, deriva dal greco ethos: non soltanto “costume” o “morale”, ma dimora, luogo dell’abitare. Parlare di etica significa allora riflettere su come viviamo insieme gli spazi — fisici, relazionali, digitali — e su quali valori li attraversano.
L’etica è ciò che conferisce senso e orientamento a questo “abitare condiviso”, anche quando l’altro con cui ci relazioniamo non è più soltanto umano, ma anche tecnologico. In questo senso, le tecnologie BRIA non sono semplici strumenti: sono nuove presenze che entrano nei nostri luoghi della cura, la cui questione non è solo tecnica, ma profondamente etica: che tipo di spazio stiamo costruendo con queste tecnologie? È un ambiente che possiamo abitare con fiducia, comprensione e dignità? La vera sfida è far sì che anche la sanità digitale diventi un luogo ospitale, dove il senso della cura non venga disperso, ma rilanciato. In questi scenari, la fiducia non è una semplice adesione allo strumento, ma un patto complesso tra progettisti, operatori e cittadini.
Un algoritmo predittivo può avere altissima accuratezza, ma se il cittadino non comprende il processo, o il medico non riesce a tradurlo in un dialogo empatico, il rischio è di svuotare la relazione di senso. Così, anche la tecnologia più avanzata rischia di diventare muta, se non sappiamo darle voce in modo umano. In questo intreccio di responsabilità e interpretazioni, la fiducia diventa una tessitura collettiva. Credo che oggi più che mai, la fiducia debba essere progettata con cura. Deve essere spiegabile, inclusiva, condivisa. Non può nascere da una semplice adozione tecnologica: ha bisogno di trasparenza, ascolto, dialogo tra umanesimo e ingegneria. Serve un design della fiducia. Ma c’è qualcosa di più profondo. Fidarsi — anche in sanità — significa accogliere la vulnerabilità.
È un atto umano, non replicabile, e proprio per questo così prezioso. Nessuna macchina, per quanto precisa, potrà mai restituire la sensazione di essere ascoltati. Nessun algoritmo saprà riconoscere la pausa di un silenzio carico di paura. Nessuna realtà immersiva potrà sostituire lo sguardo gentile di chi ci accompagna nella fragilità. Nella medicina aumentata che ci aspetta — e in parte ci abita già — la fiducia sarà il vero campo di prova.
Modello di vita, studio e servizio nella Fondazione
Definizione e visione
La comunità educativa è un ecosistema residenziale e laboratoriale che integra vita, studio e responsabilità. Non è solo un luogo, ma un progetto intenzionale di crescita umana e professionale fondato su fraternità, disciplina morale, rispetto e cooperazione.
FraternitàDisciplinaServizioTecnologie BRIA
Valori e ispirazione
Principi francescani di sobrietà e solidarietà, dignità della persona e diritto allo studio. La tecnologia è umanizzata per formare persone libere, competenti e responsabili.
Umano al centro
Norme di riferimento
Codice Civile (artt. 14–42 c.c.)
Consente alle fondazioni di perseguire scopi educativi e gestire strutture come convitti, campus e studentati in coerenza con lo scopo statutario.
D.Lgs. 117/2017 — Codice del Terzo Settore
Artt. 5–6: attività di interesse generale educative e formative
Comprendono istruzione, formazione professionale e percorsi comunitari di crescita personale, anche in forma residenziale.; art. 55: co-programmazione e co-progettazione con PA.
Legge 328/2000 — Sistema integrato di interventi sociali
Riconosce le comunità educative come strumenti di inclusione e prevenzione della dispersione, nel quadro del principio di sussidiarietà.
D.P.R. 616/1977
Attribuisce alle Regioni competenze su riconoscimento e sostegno a strutture educative private con finalità pubbliche e sociali.
Convenzione ONU Diritti del Fanciullo
Artt. 29 e 31: diritto ad un’educazione che sviluppi pienamente la personalità e i talenti in contesti che promuovano dignità e solidarietà.
Compliance trasversale
GDPR (UE 2016/679) per protezione dati; D.Lgs. 81/2008 per salute e sicurezza degli ambienti comunitari.
Struttura organizzativa
Direttore / Coordinatore Responsabile della disciplina, del regolamento e della gestione quotidiana.
Tutor e Formatori BRIA Guidano l’apprendimento tecnico e comportamentale; monitoraggio del percorso.
Educatori civici Custodi di fraternità, rispetto, inclusione, legalità e servizio alla comunità.
Cadetti Residenti o non residenti, selezionati e vincolati al giuramento e al regolamento interno.
Percorso tipo
Orientamento (3 mesi)
Accoglienza, studio del regolamento, fraternità, alfabetizzazione BRIA, sicurezza e privacy.
Addestramento (15 mesi)
Laboratori BRIA, project work, tirocinio interno, vita comunitaria assistita.
Studio accademico (fino a 36 mesi)
Laurea triennale in sincronia con l’addestramento: cybersecurity, informatica, IA.
Regolamento e responsabilità
Diritti e doveri, criteri di ammissione e permanenza.
Convivenza, turnazioni di servizio, decoro degli spazi comuni.
Salute, sicurezza (D.Lgs. 81/2008) e protezione dati (GDPR).
Finalità
Personale e civica: responsabilità, appartenenza, autonomia e spirito critico.
Inclusione e dignità: vitto/alloggio solidale, supporto psicopedagogico, accesso equo.
Riconoscimento e vigilanza
Comunicazione ad autorità competenti (Regione, Comune, Prefettura) con regolamento, piano educativo e organigramma. Possibile riconoscimento come struttura educativa o ente di formazione accreditato, con co-finanziamento pubblico. Vigilanza su sicurezza, igiene e qualità formativa affidata a organi territoriali e al Consiglio della Fondazione.
Lavoro Integrativo art. 16.2.1 Titolo VII
Nel caso in cui un allievo, cadetto o discente iscritto alla Fondazione Olivetti Tecnologia e Ricerca si trovi in comprovata condizione di difficoltà economica, tale da non poter sostenere in autonomia le spese di partecipazione al percorso formativo, e tale condizione sia dimostrata ogni oltre ragionevole dubbio, la Fondazione si impegna, compatibilmente con le risorse e le disponibilità locali, ad attivare una procedura di supporto attraverso l’inserimento lavorativo temporaneo.
A tal fine, l’interessato dovrà produrre una lettera formale di richiesta, corredata da una relazione dettagliata, contenente ogni elemento utile alla piena comprensione del contesto economico, sociale e familiare, e ogni documento ritenuto idoneo a comprovare la condizione dichiarata.
Qualora la richiesta venga accolta, la Fondazione potrà stipulare convenzioni operative con attività economiche del territorio circostante alla sede presso cui l’allievo risiede o è in formazione, privilegiando soggetti già aderenti alla rete associativa della Fondazione o che ne condividano valori e finalità.
Non è tuttavia garantito che la Fondazione sia in grado di individuare un’attività lavorativa compatibile con il percorso di studio, in quanto tale possibilità dipende dalle caratteristiche del territorio, dalle disponibilità del momento e dall’equilibrio con gli impegni formativi. L’attività lavorativa dovrà essere svolta esclusivamente al di fuori degli orari programmati di studio.
Le condizioni di lavoro saranno definite in modo trasparente e condiviso tra il cadetto, l’attività convenzionata e un delegato incaricato dalla Fondazione, che avrà il compito di supervisionare l’accordo e verificarne la regolarità e l’equità. Al socio cadetto sarà comunque richiesta unicamente la quota mensile prevista dal regolamento vigente, che potrà essere oggetto di riduzione o parziale compensazione in base agli accordi.
La Fondazione provvederà a monitorare con continuità l’esperienza lavorativa attivata, verificando l’aderenza ai parametri stabiliti e intervenendo in caso di criticità.
Il rifiuto ingiustificato di due proposte lavorative consecutive compatibili con il percorso formativo sarà motivo valido per l’esclusione dell’allievo dalla Fondazione, fatto salvo il diritto dell’interessato di presentare osservazioni scritte che saranno valutate in via preliminare dal Consiglio di disciplina della Fondazione.
Qualora il socio allievo cadetto decida di interrompere il percorso di studio all’interno della fondazione questo non lo esonera dal pagamento completo della quota qualora mantenga in essere il lavoro procuratogli dalla fondazione, in questo caso l’allievo autorizza sin da ora i datori di lavoro a versare per suo conto sino ad estinzione del debito totale le quote dovute direttamente alla fondazione.
Valori Mantenimento ISEE
La quota di mantenimento è relativa a vitto, alloggio, abbigliamento, attrezzatura di base condivisa, servizi domestici interni, viaggi e trasferte programmate per motivi di studio ed addestramento, partecipazione e fiere e congressi, partecipazione a seminari, materiali didattici, licenze ed accessi ai sistemi informativi e quanto altro descritto nel manuale del percorso.
Se invece vuoi usare la nostra intelligenza artificiale (GPT Olitec) e dialogare con lei puoi cliccare qui Avvia il GPT OLITEC
Arruolati
È il tuo momento. L’Italia ha bisogno di te.
Hai mai pensato di fare qualcosa di grande, che lasci un segno? Di mettere le tue capacità, la tua forza, la tua intelligenza e il tuo coraggio al servizio degli altri?
Arruolati oggi. Unisciti a chi ha scelto di non restare a guardare. Che tu sia uomo o donna, che tu venga da una grande città o da un piccolo paese, c’è un posto per te in una squadra che costruisce il futuro, protegge le vite, difende ciò che conta. Non è solo un lavoro. È una scelta di vita.
È l’inizio di un cammino che ti cambierà per sempre.