Forum

Benvenuti nel Forum della Fondazione Olitec. Questo spazio è stato creato per promuovere la trasparenza e facilitare la comunicazione tra la Fondazione Olitec e tutti coloro che desiderano entrare a far parte del nostro team, in particolare per il ruolo di Sales. Il nostro forum è uno strumento di dialogo aperto e costruttivo dove i candidati possono porre domande, condividere esperienze e ottenere risposte dirette sui vari aspetti del processo di selezione e sulle opportunità di carriera offerte dalla Fondazione.

All’interno del forum troverete topic dedicati ad argomenti specifici su cui potrete approfondire informazioni relative al ruolo, al processo di selezione e alla cultura aziendale della Fondazione Olitec. Inoltre, avrete la possibilità di caricare le vostre domande e consultare le risposte fornite ad altri quesiti posti dai candidati, creando così una rete di informazioni condivisa e trasparente.

Questo spazio è pensato anche per favorire la condivisione delle esperienze personali: potrete raccontare il vostro percorso e scoprire come altri candidati stanno affrontando questa opportunità. Vi invitiamo a partecipare attivamente, a rispettare gli altri membri della community e a mantenere un tono di dialogo collaborativo e positivo.

o Registrati per creare messaggi e topic.

PEOPLE STRATEGY LAVORO e INTELLIGENZA ARTIFICIALE

di Marco Parachini

Nuove prospettive per la Gestione del Personale

DALL’IMPRESA MACCHINA ALL’IMPRESA PERSONA

L’Intelligenza Artificiale, la realtà immersiva, il Web 3.0 e la Blockchain stanno velocemente trasformando sempre di più il modo di lavorare, prendere decisioni e vivere la quotidianità.

In questo contesto, da un lato c’è il rischio di ridurre la capacità dell’uomo di sviluppare competenze critiche e creative (si evidenziano sempre di più fenomeni che, se non adeguatamente affrontati, possono portare a una riduzione complessiva delle competenze dei professionisti, ad esempio si parla di sycophancy bias, il “servilismo delle macchine”, per indicare la tendenza dell’AI a confermare le convinzioni degli utenti), da un altro sono richieste nuove capabilities umanistiche per lo sviluppo , l’utilizzo e integrazione delle nuove tecnologie nella nostra vita e nel nostro lavoro. 

Serve integrare la transizione digitale con la transizione umana per creare valore in logica sistemica con aumento delle competenze e conoscenze collettive. 

La twin transaction non può prescindere dall’integrazione in prospettiva ESG, che presuppone  capacità di integrare digitale transition con human transiction per sviluppare e gestire l’innovazione tecnologica nel rispetto di valori fondamentali, individuali e collettivi, reputazionali, etici ed umanistici, integrando diverse culture e scienze, riconoscendo le diversità, favorendo le parità e riducendo le disuguaglianze  

Un uomo e un robot si trovano fianco a fianco, rappresentando il tema della collaborazione tra intelligenza umana e artificiale.

Tutte le famiglie professionali che si occupano di lavoro e risorse umana sono di fronte a nuove fondamentali responsabilità: 

  1. gestire un dialogo continuo in  logica partecipativa tra i principali attori del mondo accademico, imprenditoriale e istituzionale, per garantire che l’innovazione tecnologica non sia solo una questione di efficienza e produttività, ma anche di valori umani.  
  2. Supportare analisi e ricerche sull’impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, indagando quali competenze e human capabilities saranno fondamentali per le professioni del futuro nelle sfide tecnologiche, ambientali, economiche e sociali;
  3. Facilitare soluzioni finalizzate alla tutela dell’integrazione tecnologia – human – ESG supportando la sinergia pubblico-privato nell’area istruzione e formazione valorizzando best practice di integrazione sostenibile della transizione tecnologia con  la transizione umana. 

Le grandi trasformazioni in corso conseguenti allo sviluppo delle tecnologie digitali, alle crisi globali, alla transizione ecologiche, ai conflitti geopolitici, all’evoluzione demografica, alle fratture generazionali  costringono le nostre Imprese ad operare in uno scenario che non è solo incerto, ma strutturalmente imprevedibile, in cui i modelli del passato mostrano crepe profonde, le professioni si ibridano a velocità vertiginosa e le aspettative delle persone nei confronti del lavoro cambiano radicalmente da una generazione all’altra.

In questo contesto, la sfida non è più adattarsi a uno scenario già mutato, ma prepararsi a ciò che ancora non è visibile, attrezzandosi con capacità analitiche, intelligenza e visione sistemica e flessibilità strutturale.

La gestione del personale si sta trasformando da un processo statico a un processo continuo, dinamico, adattivo, in cui la variabile umana viene osservata non più come mero costo o risorsa standardizzabile, ma come elemento centrale della strategia aziendale, capace di generare valore, innovazione, e coesione sociale. 

In questa nuova visione, i dati in tempo reale, le simulazioni prospettiche, gli algoritmi predittivi e l’analisi evolutiva delle competenze costituiscono gli strumenti operativi attraverso cui rileggere la relazione tra capitale umano, processi produttivi e impatto sociale dell’impresa.

Diagramma che illustra il concetto di analisi evolutiva, con elementi come persone, idee, impatti sociali e processi di capitale umano, evidenziando le interconnessioni tra questi fattori.

Ma questa trasformazione non è solo tecnica. È anche e soprattutto culturale e richiede un’evoluzione del modo in cui pensiamo l’organizzazione del lavoro: dalla stabilità alla resilienza, dal controllo alla fiducia, dalla pianificazione lineare alla modellazione degli scenari. 

Non si tratta più di "riempire caselle" in organigrammi rigidi, ma di immaginare come le persone possano crescere, reinventarsi, collaborare in modo interfunzionale, lavorare per progetti e obiettivi mutevoli, contribuire a una visione collettiva di futuro.

In questo passaggio epocale, la gestione del personale diventa una leva direzionale, un pilastro di governance, una funzione trasversale che incrocia la tecnologia, la formazione, il benessere organizzativo, la sostenibilità e la responsabilità sociale. 

È la sintesi di una nuova alleanza tra uomo e macchina, tra algoritmi e sensibilità, tra lettura dei dati e comprensione del contesto umano e culturale.

Chi saprà cogliere questa sfida – e dotarsi degli strumenti giusti per affrontarla – non solo costruirà organizzazioni più forti, giuste e preparate, di qualunque dimensione, ma contribuirà a delineare un nuovo patto sociale tra impresa e persona, fondato non sulla paura del cambiamento, ma sulla capacità di abbracciarlo, interpretarlo e orientarlo verso il bene comune.

In questo contesto di crescente complessità, l’intelligenza artificiale non rappresenta un semplice supporto tecnico, ma un alleato strategico imprescindibile per affrontare la volatilità e l’interdipendenza che caratterizzano il mondo del lavoro contemporaneo. 

La sua capacità di raccogliere, analizzare e correlare dati eterogenei consente di costruire modelli predittivi capaci di simulare l’evoluzione delle competenze, l’impatto di decisioni organizzative e le conseguenze sistemiche delle scelte di oggi sul contesto di domani.

In questo senso, l’IA non è uno strumento neutro che replica la logica umana, ma un moltiplicatore di capacità analitica, che consente ai manager, ai responsabili HR e ai vertici aziendali di operare con una visione aumentata della realtà. 

Una visione che non si ferma alla descrizione dei fenomeni, ma li interpreta, li confronta con scenari alternativi e prefigura gli effetti delle azioni non ancora compiute. 

Questo significa, concretamente, passare da un approccio decisionale reattivo, basato su crisi o urgenze, a una gestione anticipatoria, in grado di leggere i segnali deboli e trasformarli in leve strategiche. 

Ad esempio, grazie all’IA è possibile prevedere con settimane di anticipo un calo nella produttività di un team in seguito a un turn-over inatteso, oppure individuare le aree dell’organizzazione più esposte al rischio di obsolescenza delle competenze, ancora prima che ciò generi impatti visibili sui risultati.

L’intelligenza artificiale, pertanto, non sostituisce il discernimento umano, ma ne potenzia la profondità, ne amplia l’orizzonte e ne affina la precisione. 

È proprio in questa convergenza tra intelligenza artificiale e intelligenza human che si gioca la possibilità di ripensare la gestione del personale non come una funzione di supporto, ma come un atto di leadership consapevole. 

Un processo che mette al centro non solo i numeri, ma le persone, le loro potenzialità, le loro connessioni invisibili, e soprattutto la loro capacità di essere – oggi più che mai – agenti del cambiamento all’interno di un ecosistema in movimento.

Oggi, prevedere quante e quali persone saranno necessarie nei prossimi mesi o anni non significa più, come accadeva in passato, limitarsi a contare teste sulla base di organigrammi prestabiliti, tassi di turnover stimati o parametri standardizzati di produttività. 

Quella logica lineare, rigida, spesso scollegata dalla realtà in divenire, non è più in grado di rispondere alla complessità del presente né, tantomeno, di anticipare le transizioni future.

Gestire le risorse umane oggi significa, piuttosto, comprendere in profondità le traiettorie evolutive delle competenze: capire non solo quali skill sono richieste oggi, ma come esse cambieranno nel tempo, come si contamineranno tra discipline, in che modo alcune diventeranno rapidamente obsolete, mentre altre, oggi appena emergenti, diventeranno centrali per la sopravvivenza competitiva dell’organizzazione.

Significa anche saper valutare l’impatto sistemico di nuovi modelli organizzativi – come lo smart working, le strutture ibride, i team distribuiti, le unità liquide orientate per progetto – e comprendere le implicazioni di queste trasformazioni non solo in termini logistici o tecnologici, ma anche culturali, relazionali, identitari. 

Le organizzazioni che introducono nuovi assetti del lavoro devono interrogarsi su come questi modelli modifichino le dinamiche di leadership, le aspettative generazionali, il senso di appartenenza, e conseguentemente come riorientare le politiche di talent management e sviluppo delle persone.

Al cuore della pianificazione strategica vi è la necessità di anticipare i rischi di disallineamento tra competenze, ruoli e obiettivi, tra profili professionali realmente disponibili e funzioni strategiche che richiedono nuove competenze, tra carichi di lavoro e capacità effettive, tra la cultura desiderata e quella praticata nei comportamenti quotidiani. 

Tutto ciò impone la costruzione di piani di azione agili e adattivi, capaci non solo di reagire agli eventi, ma di trasformarsi in tempo reale alla luce di fattori esogeni – come i cambiamenti normativi, i trend tecnologici, l’instabilità geopolitica, le dinamiche del mercato del lavoro globale – e di fattori endogeni, come le uscite impreviste di figure chiave, l’espansione improvvisa di un mercato di riferimento, o l’emergere di una crisi reputazionale.

La gestione del personale si evolve da un approccio statico basato sul “chi ci serve” a un approccio dinamico basato su “quali persone vogliamo avere al nostro fianco” per affrontare le sfide. 

Significa, soprattutto, costruire un capitale umano che non sia semplicemente pronto a reagire, ma preparato a interpretare, a guidare, e – in molti casi – ad anticipare il futuro stesso, contribuendo in modo proattivo a modellarlo.

È qui che l’intelligenza artificiale, con la sua capacità di gestire l’incertezza attraverso la previsione e la simulazione, diventa uno strumento abilitante, ma è la visione strategica e la capacità umana di attribuire significato ai dati che rende davvero efficace ogni processo di pianificazione. 

Solo l’incontro tra analisi predittiva e responsabilità umana può generare quella governance del futuro che oggi ogni organizzazione è chiamata a sviluppare, se vuole restare viva, rilevante e sostenibile nel lungo periodo.

L’adozione dell’intelligenza artificiale consente di superare in modo radicale le logiche tradizionali della pianificazione delle risorse umane, ancora spesso ancorate a modelli statici, basati su dati storici incompleti, su intuizioni individuali o su approcci incrementali incapaci di cogliere la natura profondamente non lineare del cambiamento contemporaneo. 

Grazie alle sue capacità di apprendimento adattivo, correlazione complessa e aggiornamento continuo, l’IA rende possibile l’elaborazione di modelli di workforce planning basati su scenari predittivi, in grado di simulare, con estrema precisione e flessibilità, l’evoluzione della forza lavoro in funzione delle trasformazioni interne ed esterne all’organizzazione.

Questi modelli non si limitano a quantificare il fabbisogno futuro di personale, ma integrano dimensioni qualitative fondamentali, come l’evoluzione delle competenze, il grado di adattabilità dei profili professionali, la propensione all’apprendimento continuo, il rischio di obsolescenza, la capacità di collaborare in contesti interfunzionali. In parallelo, l’IA consente di accedere ad analisi costantemente aggiornate dei benchmark settoriali, confrontando la propria struttura organizzativa con quella delle imprese più avanzate dello stesso comparto, identificando gap critici o margini di miglioramento rispetto alla composizione dei team, alle politiche di compensation, alla diversità generazionale e di genere, alla velocità nei percorsi di carriera.

Uno degli aspetti più evoluti riguarda la possibilità di utilizzare strumenti di simulazione avanzata per valutare, in tempo reale, l’impatto organizzativo, economico e culturale di ogni decisione strategica: una nuova assunzione, una riorganizzazione interna, un piano di successione o un’iniziativa di reskilling. 

Si tratta di uno spostamento radicale da una logica reattiva a una logica progettuale, in cui l’errore viene anticipato, il rischio calcolato e la strategia costruita sulla base di evidenze dinamiche, e non su presunzioni statiche.

Va sottolineato, tuttavia, che le tecnologie IA non sostituiscono il pensiero umano, né lo devono fare. 

La loro forza non sta nel rimpiazzare la soggettività o l’intuito, ma nel potenziarne la capacità di analisi, nel ridurre l’ambiguità decisionale, nel fornire una base solida di dati affidabili, su cui costruire ipotesi, visioni e scelte consapevoli. 

L’IA abilitata alla gestione strategica del personale è, in questo senso, uno strumento di governance, che consente ai vertici aziendali e ai responsabili HR di governare il lavoro non più a partire da logiche conservative, ma attraverso simulazioni verosimili, visioni sistemiche e decisioni predittive.

In un mondo in cui le discontinuità di mercato e i rischi sistemici – dalla crisi climatica alla frammentazione delle competenze, dalla digitalizzazione estrema alla pressione normativa – sono la nuova normalità, disporre di una visione avanzata, simulabile e aggiornabile del capitale umano non è più un vantaggio competitivo: è una condizione per rimanere coerenti, resilienti e sostenibili. 

L’intelligenza artificiale, in questo quadro, non è solo tecnologia. È una nuova grammatica del pensiero strategico, capace di restituire al management la lucidità necessaria per guidare l’organizzazione nel tempo che cambia.

Al tempo stesso, questa nuova visione della pianificazione apre la strada a un paradigma culturale evoluto, che ridefinisce in modo profondo il ruolo e l’identità dei nuovi gestori del personale.

Questa evoluzione richiede una nuova grammatica, nuove competenze, un diverso atteggiamento mentale. 

È necessario che si si occupa di persone sia capace di parlare il linguaggio della simulazione e della probabilità, di interagire con gli strumenti predittivi e le piattaforme intelligenti senza subirne l’opacità, ma anzi valorizzandone l’output con sensibilità critica e visione sistemica. 

Una “persona del personale” che sappia leggere i costi occulti dell’inazione – quei ritardi decisionali che generano stagnazione culturale, perdita di engagement, erosione della reputazione interna – e che abbia il coraggio di portare alla luce le zone grigie organizzative, le aree in cui processi superati, incoerenze valoriali o pratiche opache minano la coerenza tra ciò che l’azienda dichiara e ciò che realmente agisce.

In questo nuovo paradigma, gestire il personale non significa più rispondere alla domanda “quante persone dobbiamo assumere?”, ma interrogarsi su quali competenze attivare, quali leve relazionali costruire per facilitare l’innovazione e la coesione, quale cultura coltivare all’interno dei team per sostenere la trasformazione, quali valori condividere e con quali modalità trasmetterli in modo autentico, credibile, rigenerativo. 

Significa considerare la struttura non come un insieme di ruoli fissi, ma come un ecosistema vivente, fatto di connessioni, apprendimento continuo, mobilità interna, collaborazione intergenerazionale, sperimentazione e ascolto.

L’HR diventa così architetto di sostenibilità organizzativa, promotore di un equilibrio dinamico tra efficienza operativa, equità distributiva e benessere psicologico, capace di costruire scenari non solo redditizi, ma anche giusti e duraturi. In un mondo in cui il lavoro sta cambiando natura – nei tempi, nei luoghi, nei significati – il valore dell’HR non si misura più solo in indicatori quantitativi, ma nella capacità di generare fiducia, visione e appartenenza. 

E proprio grazie all’integrazione con l’intelligenza artificiale, questo nuovo HR ha oggi strumenti potenti per orientare la complessità, senza ridurla, ma governandola con intelligenza umana e strategica responsabilità.

La gestione del personale nell’era dell’intelligenza artificiale non è solo una questione di algoritmi, cruscotti digitali o soluzioni automatizzate. 

Non è l’ennesimo passaggio tecnico da un sistema gestionale a un altro. È, prima di tutto, un esercizio di visione e di responsabilità, un atto di consapevolezza organizzativa che richiede la capacità di tenere insieme l’analisi e il significato, il dato e la persona, la previsione e la scelta.

Essa rappresenta il punto d’incontro tra tecnologia predittiva e visione umanistica, tra la precisione degli algoritmi e l’imprevedibilità dell’umano, tra il rigore del calcolo e la fragilità della motivazione, tra l'efficienza operativa e il senso profondo del lavoro come espressione di identità, appartenenza e trasformazione. 

È uno spazio in cui le metriche si fanno etica, e i numeri non oscurano i volti, ma li aiutano a emergere nella loro complessità.

Ed è proprio in questo spazio – fluido, interconnesso, in continua evoluzione – che si gioca oggi la vera sfida della leadership contemporanea. 

Una sfida che non può più essere affrontata con logiche binarie, verticali o difensive, ma che richiede coraggio interpretativo, apertura alla complessità, e soprattutto capacità di costruire scenari sostenibili nel tempo, dove le persone non siano semplicemente risorse da allocare, ma protagonisti attivi della trasformazione.

Non si tratta, dunque, solo di gestire le risorse umane. Si tratta di preparare le organizzazioni a vivere – e non subire – il futuro che avanza. 

Un futuro fatto di transizioni continue, di ruoli che si reinventano, di tecnologie che abilitano e interrogano, ma anche di bisogni antichi che tornano con forza: il desiderio di appartenenza, di crescita, di riconoscimento, di impatto.

In questo equilibrio delicato tra ciò che possiamo misurare e ciò che dobbiamo comprendere, la gestione del personale si rivela non solo una competenza tecnica, ma una vera e propria pratica di leadership evolutiva, al servizio di un’idea di impresa persona che sappia crescere senza disumanizzarsi, innovare senza snaturarsi, e prosperare generando valore per tutti.