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Questo spazio è pensato anche per favorire la condivisione delle esperienze personali: potrete raccontare il vostro percorso e scoprire come altri candidati stanno affrontando questa opportunità. Vi invitiamo a partecipare attivamente, a rispettare gli altri membri della community e a mantenere un tono di dialogo collaborativo e positivo.
NUOVE TECNOLOGIE E SCUOLA
Cita da Samina Sayeda su 19 Novembre 2025, 10:17 amdi Alessandro Battistelli
Parafrasando l’incipit di un famoso libro, c’è uno spettro che si aggira tra i corridoi della scuola italiana; è lo spettro dell’Intelligenza artificiale.
Sono un docente di scuola secondaria di secondo grado, insegno filosofia e storia al liceo scientifico Alessandro Volta di Spoleto. Il tema delle nuove tecnologie mi interessa, pur non insegnando una disciplina scientifica, e credo che l’occhio critico della filosofia possa essere fondamentale per affrontare questo argomento in un ambiente, come la scuola, che non è molto propenso al cambiamento.
L’AI è un fantasma perché la sua creazione ha avuto un impatto diverso nelle due componenti che costituiscono la spina dorsale del sistema scolastico: docenti e discenti.
Per gli studenti è stata una vera e propria rivelazione, un’epifania che fa scrivere la parola soluzione a tanti problemi che prima avevano. Problemi riguardanti i compiti, lo studio e anche molti aspetti che hanno a che fare con i tentativi della classe docente di proporre una didattica alternativa. Se uno studente prima dell’avvento dell’AI si trovava in una flipped classroom e doveva proporre ai suoi compagni un particolare argomento doveva comunque prepararsi, studiare, sintetizzare e mettere insieme una presentazione o un video. Oggi a fare tutto questo ci pensa l’AI. Un notevole risparmio di tempo ed energie. La domanda fondata e fondamentale che molti studenti si pongono è allora: ma se quelle informazioni le posso avere facilmente tramite l’AI perché dovrei impegnarmi per impararle? Perché dovrei sudare sui libri quando potrei sicuramente fare altro, anche molto più interessante?
E hanno pienamente ragione. Ecco quella ragione la devono trovare gli insegnanti. Ma per la classe docente l’introduzione dell’AI è stato un trauma. Una rincorsa verso qualcosa che sfugge continuamente, uno sforzo, quando va bene, per essere aggiornati che risulta inutile perché l’obiettivo cambia e si evolve a una velocità che non riusciamo a tenere. Rincorriamo ma invece che avvicinarci all’obiettivo ci allontaniamo.
Ho avuto la fortuna di appassionarmi al tema delle nuove tecnologie, e dell’AI in particolare, da anni e di aver quindi approfondito l’argomento. Nell’anno scolastico 2024/2025 insegnavo in un I.I.S. di Siena, il Tito Sarrocchi, una scuola che mette insieme Istituto tecnico e Liceo scientifico delle scienze applicate. Qui ho tenuto un corso di aggiornamento per docenti sul tema dell’AI nei suoi rivolti etici e di responsabilità. Ci sarebbero state una montagna di cose da dire, ma ho deciso di cominciare da un po’ di storia dell’AI e su come funzioni realmente per far capire immediatamente che il mostro non è poi così mostruoso e neppure molto intelligente. Bisogna però affrontarlo perché in gioco c’è il pensiero, anzi la capacità stessa di pensare e stimolare un’attività che ci ha resi quello che siamo. Ma forse la cosa che più deve essere chiara alla classe docente è che il pensiero non è un’attività individuale, solitaria ma frutto di una comunità, di un insieme di persone, pratiche e cose. Il pensiero è corpo, coscienza, bene comune, frutto di connessioni.
La scuola quindi tenta di adattarsi, di rincorrere spaventata il fantasma, di farsi un’idea precisa su come riuscire a evitare che gli studenti facciano lavorare troppo ChatGPT e che si impegnino di più, anche se non si capisce se lo debbano fare per una soddisfazione del docente o per crescere realmente. Detto ironicamente, per ora il risultato è che non si possono più dare compiti scritti a casa poiché il rischio che vengano svolto con l’AI è altissimo e saper riconoscere un prodotto artificiale è estremamente difficile.
Sarà però molto interessante vedere come la scuola si trasformerà. Dovrà fare uno sforzo, ma credo che il problema possa essere in parte un’opportunità di crescita, cercando di far sviluppare la consapevolezza degli studenti sull’uso dell’AI, sui rischi e su cosa comporti, senza allarmismi apocalittici di fine dell’essere umano come in un film distopico. La scuola dovrà predisporre dei percorsi ad hoc, soprattutto negli indirizzi che apparentemente sono più lontani dagli aspetti tecnici dell’AI per dare una infarinatura sul reale funzionamento, almeno a livello iniziale. Conoscere come un artefatto è costruito ci dà l’opportunità di comprenderlo. Sapere come in linea di massima funziona un algoritmo, come è possibile costruirlo, come l’intelligenza artificiale generativa è in grado di riprodurre, apprendere, svilupparsi può essere un buon modo per difendersi dal mezzo. Perché occorre ricordarlo, l’AI è un mezzo e tale resterà se non gli permetteremo di intrappolarci e di gestire le nostre vite.
Il fantasma quindi c’è, si manifesta sempre più spesso, passa da un’aula all’altra, ma la scuola deve far in modo che non spaventi più nessuno.
di Alessandro Battistelli
Parafrasando l’incipit di un famoso libro, c’è uno spettro che si aggira tra i corridoi della scuola italiana; è lo spettro dell’Intelligenza artificiale.
Sono un docente di scuola secondaria di secondo grado, insegno filosofia e storia al liceo scientifico Alessandro Volta di Spoleto. Il tema delle nuove tecnologie mi interessa, pur non insegnando una disciplina scientifica, e credo che l’occhio critico della filosofia possa essere fondamentale per affrontare questo argomento in un ambiente, come la scuola, che non è molto propenso al cambiamento.
L’AI è un fantasma perché la sua creazione ha avuto un impatto diverso nelle due componenti che costituiscono la spina dorsale del sistema scolastico: docenti e discenti.
Per gli studenti è stata una vera e propria rivelazione, un’epifania che fa scrivere la parola soluzione a tanti problemi che prima avevano. Problemi riguardanti i compiti, lo studio e anche molti aspetti che hanno a che fare con i tentativi della classe docente di proporre una didattica alternativa. Se uno studente prima dell’avvento dell’AI si trovava in una flipped classroom e doveva proporre ai suoi compagni un particolare argomento doveva comunque prepararsi, studiare, sintetizzare e mettere insieme una presentazione o un video. Oggi a fare tutto questo ci pensa l’AI. Un notevole risparmio di tempo ed energie. La domanda fondata e fondamentale che molti studenti si pongono è allora: ma se quelle informazioni le posso avere facilmente tramite l’AI perché dovrei impegnarmi per impararle? Perché dovrei sudare sui libri quando potrei sicuramente fare altro, anche molto più interessante?
E hanno pienamente ragione. Ecco quella ragione la devono trovare gli insegnanti. Ma per la classe docente l’introduzione dell’AI è stato un trauma. Una rincorsa verso qualcosa che sfugge continuamente, uno sforzo, quando va bene, per essere aggiornati che risulta inutile perché l’obiettivo cambia e si evolve a una velocità che non riusciamo a tenere. Rincorriamo ma invece che avvicinarci all’obiettivo ci allontaniamo.
Ho avuto la fortuna di appassionarmi al tema delle nuove tecnologie, e dell’AI in particolare, da anni e di aver quindi approfondito l’argomento. Nell’anno scolastico 2024/2025 insegnavo in un I.I.S. di Siena, il Tito Sarrocchi, una scuola che mette insieme Istituto tecnico e Liceo scientifico delle scienze applicate. Qui ho tenuto un corso di aggiornamento per docenti sul tema dell’AI nei suoi rivolti etici e di responsabilità. Ci sarebbero state una montagna di cose da dire, ma ho deciso di cominciare da un po’ di storia dell’AI e su come funzioni realmente per far capire immediatamente che il mostro non è poi così mostruoso e neppure molto intelligente. Bisogna però affrontarlo perché in gioco c’è il pensiero, anzi la capacità stessa di pensare e stimolare un’attività che ci ha resi quello che siamo. Ma forse la cosa che più deve essere chiara alla classe docente è che il pensiero non è un’attività individuale, solitaria ma frutto di una comunità, di un insieme di persone, pratiche e cose. Il pensiero è corpo, coscienza, bene comune, frutto di connessioni.
La scuola quindi tenta di adattarsi, di rincorrere spaventata il fantasma, di farsi un’idea precisa su come riuscire a evitare che gli studenti facciano lavorare troppo ChatGPT e che si impegnino di più, anche se non si capisce se lo debbano fare per una soddisfazione del docente o per crescere realmente. Detto ironicamente, per ora il risultato è che non si possono più dare compiti scritti a casa poiché il rischio che vengano svolto con l’AI è altissimo e saper riconoscere un prodotto artificiale è estremamente difficile.
Sarà però molto interessante vedere come la scuola si trasformerà. Dovrà fare uno sforzo, ma credo che il problema possa essere in parte un’opportunità di crescita, cercando di far sviluppare la consapevolezza degli studenti sull’uso dell’AI, sui rischi e su cosa comporti, senza allarmismi apocalittici di fine dell’essere umano come in un film distopico. La scuola dovrà predisporre dei percorsi ad hoc, soprattutto negli indirizzi che apparentemente sono più lontani dagli aspetti tecnici dell’AI per dare una infarinatura sul reale funzionamento, almeno a livello iniziale. Conoscere come un artefatto è costruito ci dà l’opportunità di comprenderlo. Sapere come in linea di massima funziona un algoritmo, come è possibile costruirlo, come l’intelligenza artificiale generativa è in grado di riprodurre, apprendere, svilupparsi può essere un buon modo per difendersi dal mezzo. Perché occorre ricordarlo, l’AI è un mezzo e tale resterà se non gli permetteremo di intrappolarci e di gestire le nostre vite.
Il fantasma quindi c’è, si manifesta sempre più spesso, passa da un’aula all’altra, ma la scuola deve far in modo che non spaventi più nessuno.

