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Compiti per Casa & IA

L’AI ha “hackerato” i compiti per casa ma il modello della simulazione può essere una risposta (anche migliore). 

Di Riccardo Santilli 

Riccardo Santilli è Head of Humanities in Italiacamp dove è responsabile dei programmi educativi e formativi di impatto sociale. Le sue aree di attività e ricerca comprendono teorie dell'apprendimento, instructional design, epistemologia, pedagogia e filosofia della tecnica, con particolare attenzione all’integrazione tra tecnologie e pratiche educative. Teaching Assistant in LUISS University, recentemente ha pubblicato il saggio Giochi di Intelligenza (artificiale). Introduzione: l'orizzonte mutato delle prassi formative Negli ultimi anni, chi come me si occupa di educazione e formazione è chiamato a rivedere profondamente i propri approcci (Santilli, 2024). 

L'intelligenza artificiale generativa ha aperto scenari inediti nella relazione tra studenti, docenti e contenuti formativi. Al centro di questa rivoluzione si colloca un fenomeno tanto silenzioso quanto dirompente: la cosiddetta homework apocalypse (Mollick, 2024). L'accesso sempre più diffuso a strumenti in grado di generare testi, risolvere problemi, scrivere saggi e rispondere a domande complesse ha messo in crisi uno dei cardini della scuola tradizionale: il compito a casa. Quando ogni studente può affidarsi a un assistente virtuale capace di svolgere (e spesso migliorare) qualunque tipo di esercitazione scritta, il valore pedagogico della produzione individuale rischia di svuotarsi. 

I docenti si trovano di fronte a una sfida senza precedenti: come valutare competenze autentiche? Come stimolare un apprendimento significativo in un contesto dove l'automazione può facilmente sostituire la fatica cognitiva? La sfida non riguarda solo i docenti, ma tutti coloro che si occupano di metodologie educative e formative. L’AI generativa ha di fatto “hackerato” la prassi dei compiti a casa è dunque urgente chiedersi se da questo strumento sia possibile trovare anche nuove risposte educative in direzione di un vero e proprio cambio di paradigma. 

Un gruppo di studenti partecipa a una lezione in aula, con computer portatili e schermi informativi sullo sfondo.

Le simulazioni educative: dal compito come risultato al compito come processo Le simulazioni educative hanno da sempre affascinato gli educatori più attenti alla dimensione esperienziale dell'apprendimento. In generale, una simulazione consiste nella riproduzione di un sistema fisico, sociale o economico, dei suoi elementi e della loro dinamica interna sulla base di un modello logico e/o computazionale con il quale interagire. Se integrata con appropriate strategie didattiche, la simulazione può essere usata per sviluppare una comprensione profonda di concetti, regole e processi, attraverso la sperimentazione delle conseguenze delle proprie scelte (senza rischi per l’utente se pensiamo ad esempio alla realtà immersiva per simulare compiti critici). 

Tra i principali modelli computazionali troviamo le regole decisionali, i sistemi dinamici e, più recentemente, i Large Language Models e la realtà immersiva. I benefici delle simulazioni sono stati ampiamente descritti (Schank, 1995; Aldrich, 2005; Gibbons et al., 2009). L’approccio basato sul learning by doing favorisce non solo l’esperienza pratica ma anche l’interazione e la relazione tra studenti. Ci si aspetterebbe quindi che questa prassi didattica, alla luce delle considerazioni sopra esposte fosse un diffuso metodo di insegnamento nelle scuole e nelle università, in aggiunta ai metodi più tradizionali, come le lezioni frontali e le esercitazioni. 

Stranamente, tuttavia, queste supposizioni sono ben lontane dall’essere confermate negli attuali scenari educativi.

Although the last few years have witnessed an increase in the use of simulations as a teaching tool, their actual penetration into school programs is still quite scarce. We are therefore faced with the paradox of an instructional method receiving positive, even enthusiastic comments, which lacks momentum, however, to be translated into sound school practice. Where in lie the reasons for this aspiration reality divide?

- Landriscina 2013 p. 2

I limiti tradizionali delle simulazioni e la svolta dell’IA generativa Le ragioni di questa paradossale distanza tra teoria e pratica sono molteplici. Una delle più rilevanti riguarda l’elevato costo economico e progettuale legato alla realizzazione di simulazioni efficaci. Progettare ambienti simulativi realistici e coerenti con gli obiettivi didattici, richiede tempo, competenze tecniche e investimenti significativi. 

A ciò si aggiunge la complessità metodologica: la costruzione di un buon modello richiede la selezione di variabili significative, la definizione di regole di funzionamento e un lungo processo di fine tuning. In questo quadro, non sorprende che le simulazioni siano rimaste a lungo confinate in contesti specialistici, come la formazione militare, la medicina o la formazione manageriale. Tuttavia, l’avvento dell’IA generativa (LLM) e della realtà immersiva, sta cambiando radicalmente il panorama. Oggi è possibile progettare simulazioni testuali con relativa facilità, generando scenari, personaggi, problemi, feedback e conseguenze delle scelte compiute dagli utenti. 

Nella simulazione “Sancho Panza e la sfida del pensiero critico” ad esempio, ho sviluppato il prompt per un role play interattivo in cui lo studente interpreta il ruolo di Sancho Panza con l’obiettivo di correggere le credenze errate di Don Chisciotte. L’AI si adatta dinamicamente alle risposte degli studenti, presentando contro argomentazioni originali e stimolanti, offre spiegazioni, valutazioni formative e suggerimenti riflessivi. Il docente in questo caso può utilizzare il prompt integrandolo facilmente in un percorso di apprendimento sul pensiero critico.

Si tratta solo di un esempio, ma vale a dimostrare che, ciò che prima era di elevata difficoltà progettuale è ora alla portata (quasi) di tutti: la simulazione può addirittura essere co-creata in tempo reale, insieme agli studenti, con l’AI come partner cognitivo. Si apre così la strada a una didattica centrata sul processo, sull’esplorazione e sulla riflessione critica, un passaggio chiave per superare la logica del compito come “prodotto finale” e aprire spazi autentici di apprendimento attivo. 

Rischi e opportunità Naturalmente, l'integrazione dell’AI e della realtà immersiva nella didattica non è priva di rischi. Esistono problemi di accuratezza delle risposte, di bias nei modelli, di trasparenza nei criteri di valutazione. È fondamentale che i docenti mantengano un ruolo attivo di supervisione o adattamento, correzione. Le simulazioni non devono sostituire il docente, ma amplificarne la capacità di creare ambienti di apprendimento significativi. Non vanno inoltre ignorate alcune questioni di fondo che proprio l’AI generativa e la realtà immersiva pongono al processo educativo. 

Quanto ne sappiamo effettivamente per poterle utilizzare? Quanto siamo consapevoli dei loro effetti? L’utilizzo questi approcci basati sulla simulazione non ci rende forse più vulnerabili? (Turkle, 2009). 

Tuttavia, questi ostacoli non sono insormontabili. Al contrario, possono diventare occasioni per rilanciare la formazione dei docenti, promuovere una cultura pedagogica innovativa, ripensare le politiche educative.

L'apprendimento come processo relazionale La fine dei compiti tradizionali, lungi dall'essere una catastrofe, può rappresentare l’occasione di un nuovo approccio sia nell’attività in aula che a casa. Le simulazioni basate su IA generativa e sulla realtà immersiva rappresentano una straordinaria opportunità per ridefinire cosa significhi "imparare". Il framework BRIA – Biotecnologie, Realtà Immersiva e Intelligenza Artificiale – (Nicolini, 2024), da questo punto di vista rappresenta un approccio che ben focalizza le dimensioni della sfida educativa, nella misura in cui trasforma queste tecnologie da innovazioni dirompenti a leve pedagogiche. Sta a noi, educatori, decidere come abitarlo: con diffidenza, o con coraggio e immaginazione.