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Al Senato per parlare di Agrobotica

Intelligenza Artificiale e Agricoltura di Precisione: come scegliere oggi per raccogliere domani

Nel cuore del convegno ospitato oggi dal Senato della Repubblica, si è svolto un confronto ad alta intensità sul ruolo dell’intelligenza artificiale nell’agricoltura di precisione. Un tema che non riguarda più scenari futuristici, ma scelte concrete da compiere ora, in un momento storico in cui le imprese agricole italiane si trovano a un bivio: abbracciare l’innovazione per restare competitive o rischiare l’obsolescenza.

A guidare l’intervento di apertura è stato Massimiliano Nicolini, esperto riconosciuto a livello internazionale e ideatore del modello BRIA (Bioinformatica, Realtà Immersiva, Intelligenza Artificiale), il quale ha introdotto una riflessione articolata sul perché oggi l’agricoltura abbia bisogno non tanto di un software, quanto di una visione sistemica.

«Le domande che poniamo oggi – ha esordito Nicolini – non sono teoriche. Sono vitali. Chiedersi quale sistema di IA adottare in agricoltura significa decidere la traiettoria della propria azienda per i prossimi dieci anni. Perché sbagliare oggi vuol dire frenare l’innovazione, perdere competitività, e talvolta compromettere l’intero ciclo produttivo.»

L’intervento si è sviluppato come una mappatura delle quattro grandi famiglie di intelligenze artificiali già utilizzabili in ambito agricolo:

1. Computer Vision e diagnostica visuale avanzata

Si tratta di sistemi che analizzano immagini da droni, satelliti o camere fisse per rilevare stress delle piante, malattie, infestazioni o squilibri idrici. Particolarmente adatti per le colture estensive, trovano però applicazione anche in contesti più frammentati come quelli italiani, a patto che i modelli siano adattati localmente. «Importare sistemi nati per le grandi pianure americane e applicarli senza adattamento ai vigneti liguri – ha sottolineato Nicolini – è un errore frequente. Serve co-progettazione, e serve formazione».

Un caso d’uso concreto? Un’azienda vinicola toscana ha ridotto del 70% l’impiego di fitosanitari grazie a diagnosi mirate realizzate da modelli visivi BRIA. Un salto di qualità, ma anche di sostenibilità.

2. Sistemi predittivi multi-sensoriali e modelli climatici

Questi sistemi elaborano in tempo reale dati ambientali (temperatura, umidità, precipitazioni, umidità del suolo) raccolti da sensori IoT e stazioni meteo, per consigliare il momento migliore per irrigare, concimare o intervenire. L’efficacia è alta, soprattutto in territori aridi o vulnerabili, come dimostrato in Basilicata da un progetto BRIA con agricoltori locali, dove si è ottenuto un risparmio idrico del 45%.

Ma questi sistemi hanno un punto debole: la dipendenza da un’infrastruttura tecnologica diffusa e precisa. «Non bastano i sensori, serve una rete digitale efficiente, e soprattutto operatori formati a interpretare i dati», ha evidenziato Nicolini.

3. Sistemi cognitivi e modelli generativi

Qui parliamo di veri e propri consulenti virtuali, basati su modelli generativi come GPT, ma addestrati su dati agronomici e colturali italiani. Non operano sul campo, ma aiutano le aziende a scrivere piani colturali, a simulare scenari, a prendere decisioni. Il campus BRIA di Chiavari, ad esempio, forma già giovani agronomi che interagiscono quotidianamente con tutor AI capaci di rispondere in linguaggio tecnico, perfino in dialetto regionale.

«Sono sistemi potenti, ma vanno alimentati con dati reali. Solo così diventano realmente affidabili», ha spiegato Nicolini.

4. Robotica intelligente di campo

Trattori autonomi, droni irroratori, robot per la raccolta: strumenti che incarnano la più alta evoluzione tecnologica applicata all’agricoltura. Ma non per tutti. «La robotica agricola funziona su grandi appezzamenti e in contesti standardizzati. Eppure – ha spiegato Nicolini – nel progetto BRIA AgroBotica stiamo testando un prototipo pensato per la collina italiana, capace di operare in ambienti complessi, riducendo la dipendenza dalla manodopera e l’uso di sostanze chimiche.»

Come orientarsi nella scelta?

Secondo Nicolini, tre sono le domande chiave che ogni imprenditore agricolo dovrebbe porsi prima di adottare un sistema di IA:

Qual è la mia coltura principale? Vite, olivo, ortaggi, frutta… ognuna richiede modelli e tecnologie differenti.

Che livello di digitalizzazione ho raggiunto? Se si parte da zero, meglio iniziare con sistemi semplici; se si ha già un'infrastruttura, si può osare con modelli predittivi o robotici.

Qual è il mio obiettivo strategico? Risparmio, qualità, tracciabilità, automazione… ogni obiettivo richiede un percorso su misura.

L’ecosistema BRIA: da applicazione a visione

L’intervento si è concluso con un messaggio netto: «Non abbiamo bisogno di un’app in più, ma di un ecosistema. E BRIA è esattamente questo». Un modello formativo e operativo integrato, già attivo in oltre 26 istituzioni italiane, che unisce bioinformatica (per analizzare e predire), realtà immersiva (per formare anche a distanza), e intelligenza artificiale spiegabile, progettata in stretta collaborazione con imprese e territori.

Con un tasso di collocamento dei suoi allievi del 94% e progetti pilota già attivi in tutta Italia, il modello BRIA rappresenta una visione concreta e replicabile per rendere l’agricoltura italiana protagonista della rivoluzione digitale e sostenibile.

«L’Italia – ha affermato Nicolini – ha una biodiversità agricola che è un patrimonio unico al mondo. Ma per trasformarla in vantaggio competitivo serve intelligenza, non solo artificiale. Serve una visione sistemica, investimenti mirati, e soprattutto un capitale umano preparato. L’intelligenza artificiale non sostituirà il lavoro agricolo: lo potenzierà, se sapremo darle cuore, contesto e competenza.»

In un’epoca in cui ogni decisione conta, costruire l’agricoltura del futuro significa scegliere oggi. Non un prodotto, ma una traiettoria. Non un’app, ma una cultura.