L’integrazione è possibile con la scienza e la volontà, ecco il programma 888

Di Massimiliano Nicolini

L’Italia vive da anni un fenomeno migratorio che non può essere ridotto a un’emergenza ciclica, perché è diventato una componente strutturale della società. Le persone arrivano, restano, mettono radici; molte altre nascono già qui, crescono nei quartieri e nelle scuole italiane, parlano italiano, ma spesso restano sospese tra appartenenze multiple senza un percorso chiaro che le accompagni a diventare parte piena e riconosciuta della comunità nazionale. In questa zona grigia – fatta di incertezza, marginalità e scarsa fiducia reciproca – si inseriscono le fratture sociali: diffidenze, stereotipi, narrativa dell’“invasione”, campagna dell’odio, ma anche l’isolamento di chi, pur vivendo in Italia, non si sente davvero “dentro” l’Italia.

È proprio in questo punto che nasce l’idea di Triple Eight, un programma che parte da un principio semplice ma spesso ignorato: se un fenomeno non è arrestabile, allora va governato nel modo migliore possibile. E governare significa costruire strumenti concreti, percorsi strutturati, responsabilità reciproche. Non propaganda. Non slogan. Percorsi.

Infografica del programma Triple Eight, evidenziando le fasi del percorso formativo per l'integrazione, con focus su competenze, cultura italiana e servizio civile.
Perché puntare sulle donne: il vero moltiplicatore dell’integrazione

Scegliere di lavorare sull’immigrazione femminile non è una scelta “di categoria”, ma una decisione strategica. Le donne, in molte comunità migranti, ricoprono un ruolo decisivo: sono spesso il centro operativo della famiglia, il punto di riferimento educativo dei figli, la cerniera culturale tra “casa” e “società esterna”. Quando una donna si integra davvero – nel lavoro, nella lingua, nei valori comuni, nella percezione di appartenenza – quel cambiamento non resta individuale: diventa una spinta che si propaga nel nucleo familiare e nella comunità.

Al contrario, quando una donna rimane esclusa, isolata, priva di strumenti, spesso prigioniera di lavoro informale o di dipendenze sociali e culturali, quell’esclusione tende a riprodursi e a consolidarsi. Integrare una donna significa quindi, in molti casi, integrare un’intera costellazione di relazioni.

Da accoglienza a integrazione: il salto che l’Italia deve fare

In Italia l’accoglienza esiste, con luci e ombre, ma l’integrazione è spesso lasciata al caso: dipende dai territori, dalle reti sociali, dai singoli insegnanti, dalla buona volontà di un’associazione, dalla fortuna di trovare un datore di lavoro serio. Mancano invece programmi che facciano una cosa fondamentale: trasformare l’integrazione in una scelta guidata, accompagnata, verificabile, con obiettivi chiari e risultati misurabili.

Triple Eight nasce per questo: creare un modello di integrazione che non sia passivo, ma attivo e responsabile, capace di coniugare diritti e doveri, opportunità e restituzione, identità individuale e appartenenza alla comunità nazionale.

L’ispirazione: il 6888 Battalion e la lezione del “servizio”

La radice simbolica del programma richiama la storia del 6888th Central Postal Directory Battalion, noto come “Six Triple Eight”, un reparto composto interamente da donne afroamericane che durante la Seconda guerra mondiale svolse una missione essenziale in Europa: ristabilire il sistema postale militare e sostenere il morale delle truppe. In condizioni difficili, spesso ostili, quelle donne dimostrarono disciplina, competenza e spirito di servizio.

Triple Eight eredita da quella storia non la dimensione militare, ma il messaggio profondo: il servizio come strumento di dignità e appartenenza. Una persona si integra davvero quando non è solo “presente” in un Paese, ma quando inizia a sentirsi utile, necessaria, riconosciuta e responsabile verso quel Paese.

Il cuore del progetto: BRIA + cultura italiana + servizio civile

Triple Eight è costruito su tre pilastri che si rafforzano a vicenda.

Primo pilastro: le competenze BRIA
Le discipline BRIA (Bioinformatica, Realtà Immersiva, Intelligenza Artificiale) non sono inserite come “tecnologia fine a sé stessa”, ma come strumenti moderni per lavorare e contribuire. L’obiettivo è fornire competenze solide e spendibili, capaci di aprire accesso a impieghi qualificati e non sfruttati, e a un percorso accademico per chi desidera proseguire. La tecnologia viene presentata come responsabilità: dati, etica, sicurezza, impatto sociale, uso consapevole degli strumenti digitali.

Secondo pilastro: cultura, storia e valori italiani
Qui si compie il passaggio più delicato e decisivo. Il programma introduce lo studio della storia d’Italia, dei passaggi che hanno costruito la Repubblica, del senso delle istituzioni, della Costituzione come patto fondativo, del concetto di bene comune. Ma soprattutto lavora sul tema dell’appartenenza: “patria” non come parola divisiva, ma come comunità, memoria, responsabilità condivisa. Non si tratta di imporre identità, ma di renderla conoscibile e desiderabile, perché senza un terreno comune l’integrazione diventa solo coabitazione.

Terzo pilastro: servizi sociali e protezione civile
L’integrazione si consolida quando diventa concreta. Per questo Triple Eight prevede attività continuative di utilità sociale: assistenza, supporto ai fragili, collaborazione con enti locali, associazioni, iniziative pubbliche. E prevede anche un asse specifico di avvicinamento alla protezione civile: cultura dell’emergenza, lavoro di squadra, supporto alla popolazione, esercitazioni. È una scelta fondamentale: partecipare alla cura del territorio significa riconoscerlo come proprio.

Struttura del percorso: 18 mesi per trasformare la presenza in appartenenza

Il programma è articolato in tre fasi da sei mesi ciascuna.

Nei primi sei mesi si costruiscono le basi: alfabetizzazione BRIA, avvio della formazione culturale e costituzionale, prime esperienze di servizio sociale, costruzione della disciplina personale e del metodo di studio.

Nei sei mesi centrali si passa alla specializzazione: applicazioni BRIA in contesti reali, approfondimento della storia contemporanea e del ruolo dell’Italia nel mondo, impegno civico continuativo, primi moduli di protezione civile.

Negli ultimi sei mesi si entra nella fase di leadership e restituzione: progetti applicativi utili alla comunità, consolidamento del concetto di cittadinanza attiva, partecipazione ad attività avanzate di volontariato e protezione civile, e un progetto finale di restituzione sociale che dimostri competenze, maturità e appartenenza.

Perché il “senso della patria” è centrale (e perché va spiegato bene)

In un momento storico in cui la società è esposta a polarizzazione e conflitto identitario, il tema della patria viene spesso usato in modo improprio: o come slogan aggressivo, o come concetto da evitare per paura di fraintendimenti. Ma la realtà è più semplice: una comunità nazionale ha bisogno di un nucleo condiviso di valori e di lealtà civica, altrimenti si disgrega.

Nel programma Triple Eight, “patria” significa questo: riconoscere che esiste un patto comune (la Costituzione), che esistono regole comuni (legalità), che esistono istituzioni che vanno rispettate, che esiste un bene comune da difendere (sicurezza, scuola, sanità, territorio), che la libertà non è una concessione ma una responsabilità. In questa cornice, il patriottismo non è esclusione, ma partecipazione.

L’esito: donne competenti, riconosciute, utili e “ponte” tra comunità

L’obiettivo finale è formare donne che non siano solo “integrate” in senso amministrativo, ma che diventino:

  • competenti nelle discipline BRIA e quindi in grado di accedere a lavoro qualificato;
  • consapevoli della storia e della cultura italiana, con una comprensione autentica dei valori repubblicani;
  • capaci di servizio sociale e civile, con esperienza concreta sul territorio;
  • autorevoli nelle proprie comunità di origine, come modello positivo e come ponte credibile.

Queste figure possono contribuire a cambiare la narrazione, perché non parlano di integrazione: la incarnano. E diventano un presidio umano contro radicalizzazioni, isolamento, sfruttamento, conflitto identitario.

Un modello replicabile: dall’esperimento al sistema

La forza di Triple Eight, se progettato con rigore, è la sua replicabilità. Non è un’idea poetica: è un modello operativo che può essere portato in territori diversi, adattato a contesti urbani o provinciali, costruito in collaborazione con scuole, ITS, enti locali, associazioni e realtà di protezione civile. La chiave è mantenere intatto il nucleo: competenza + cultura + servizio.

In un’Italia che rischia di dividersi tra paura e retorica, la strada più seria è una terza via: un’integrazione esigente, guidata, misurabile, fondata sul lavoro e sul servizio, capace di trasformare la presenza in appartenenza e di far nascere, dentro il tessuto nazionale, nuove energie che non chiedono solo spazio, ma offrono contributo.

Triple Eight si propone esattamente questo: non “gestire” l’immigrazione, ma costruire integrazione. E farlo attraverso la figura più potente che un Paese possa formare per il proprio futuro: una donna che sceglie di appartenere, di servire e di diventare riferimento per gli altri.


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