Dal post-digitale alla delega artificiale: come la comunicazione pubblicitaria diventa ingegneria del dato.
di Giulia Segalla
Mi occupo di pubblicità, di consulenza strategica e di docenza nell’ambito della valorizzazione dell’heritage aziendale e della comunicazione d’impresa. La mia prospettiva di analisi sulle tecnologie BRIA si sviluppa a partire da un osservatorio privilegiato: un settore che, per sua natura, evolve all’interno di un processo costante di potenziamento digitale. A questa esperienza applicativa affianco un percorso in Filosofia ed Etica volto a esplorare le implicazioni connesse alla diffusione del Machine Learning e dell’Intelligenza Artificiale nei sistemi sociali e produttivi. Concludo questa dovuta premessa per lasciare spazio a una riflessione sui principali cambiamenti osservabili negli uffici di comunicazione e marketing in cui opero e per suggerire una lettura favorevole verso i limiti dello sviluppo tecnologico come condizione necessaria di una reale sostenibilità umana e professionale dell’innovazione.
L’attuale fase storica a cui assistiamo, definita come post-digitale, rappresenta il punto di massima iper-tecnologizzazione del mondo contemporaneo: un’epoca in cui la tecnica non è più strumento a servizio dell’individuo ammesso che lo sia mai stata ma spazio esistenziale e cognitivo, al tempo stesso materiale e simbolico, in cui l’uomo definisce se stesso e trova la propria personale ragione di non esistere.
Nel campo della comunicazione, l’introduzione dell’IA nei processi operativi non costituisce soltanto un’innovazione strumentale, ma un mutamento quasi ontologico, o perlomeno epistemico, del lavoro creativo. La relazione che si instaura con l’IA assume i tratti di un rapporto totalizzante con l’assistente ideale: onnipresente, instancabile e, come ogni illusoria utopia, sorprendentemente economico.
Ciò che fino a qualche anno fa richiedeva l’intervento di più figure professionali oggi può essere svolto in pochi minuti attraverso l’immissione di dati in un sistema algoritmico. Il processo creativo stesso si sta progressivamente riconfigurando: un singolo professionista affiancato dall’IA è in grado di generare brainstorming, scrivere brief, simulare scenari applicativi di progetti articolati e proporre soluzioni finali già ottimizzate sulla base di una profilazione avanzata dei pubblici più convertibili. Dove prima erano necessarie più figure professionali il Project Manager, l’Account, il Copywriter, l’Art Director, il Direttore Creativo oggi l’IA è in grado di affiancarle o di sostituirne alcune funzioni rendendo ancora più sottile il confine tra progettazione umana e automazione.
Sul piano prettamente esecutivo, i cambiamenti apportati dall’intelligenza artificiale aprono un panorama in cui tutto diventa accessibile anche a chi, prima, non poteva permetterselo: spot estremamente realistici generati senza shooting e montati alla velocità della luce, script prodotti da un prompt, voiceover istantanei senza doppiatori né speaker, post-produzioni automatizzate.
In questa dinamica, il pensiero umano sembra progressivamente esternalizzarsi trasferendo alla macchina non soltanto un onere operativo, ma anche diverse funzioni ideative, concettuali e predittive. Si realizza, in tal senso, quanto la logica del Machine Learning aveva già prefigurato: la pubblicità inizia a configurarsi come disciplina ingegneristica, dove la creatività si traduce in processo di ottimizzazione e la sensibilità comunicativa diventa un unico parametro misurabile in termini di ritorno. È l’evoluzione di un immaginario in cui il creativo, lontano erede della tradizione letteraria e simbolica dell’ideale dannunziano la persuasione estetica applicata al mercato cede il posto a un nuovo interprete: il tecnico dei dati, colui che modella, calcola e verifica che la tecnica produca i risultati economici attesi e validabili nell’unico linguaggio accettabile, quello del rendimento.
Siamo di fronte a uno scenario tecnico e sociale che, in poco più di trent’anni, è passato da quella che possiamo definire una Internet of People, centrata sull’interazione umana, alla cosiddetta Internet of Things, fondata sulla connessione tra oggetti intelligenti progettati per ottimizzare i processi del quotidiano, professionali o personali che siano. È evidente come, in questo nuovo sistema tecnico tendente all’autonomia funzionale e decisionale, l’elemento umano sia sempre più confinato alla mera amministrazione dei processi.
Con le tecnologie BRIA, l’“Universo Marketing” si avvale quindi di un potenziamento senza precedenti: riduce tempi e costi di valutazione e di lavorazione, ottimizza percorsi decisionali e orienta strategie in real time. Al tempo stesso, intraprende un percorso di autoperfezionamento in cui la tecnica si misura e si giustifica unicamente attraverso sé stessa, confermando il passaggio verso un presente sempre più tecnocentrico, dove ogni forma di agire e di pensare coincide unicamente con l’efficienza della tecnica stessa.
È inevitabile chiedersi, allora, fino a che punto questa heideggeriana tecnica che si auto-fonda stia ancora rispondendo a una volontà umana di dominio, espressione del bisogno di potenza e di controllo che ha guidato la modernità, o se piuttosto ne rappresenti ormai l’autonomo compimento: il punto in cui la logica del mezzo si emancipa dal fine e la tecnica diventa fine a sé stessa. Citando Ivan Illich, è d’obbligo interrogarsi sulla necessità di una convivialità tecnologica, di una relazione che restituisca all’uomo la misura, la lentezza e la ragione del proprio esistere, prima ancora che del proprio fare. Circoscrivendo i limiti dello sviluppo e mantenendo l’IA nel ruolo di mezzo per potenziare l’autonomia e la collaborazione umane sarà possibile evitare che la tecnica generi nuove forme di dipendenza ridisegnando il mondo a sua immagine e somiglianza.
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